Opinioni:
SCOMPENSO CARDIACO NEGLI ANZIANI: UNA MALATTIA FONDAMENTALMENTE DIVERSA
Lo scompenso cardiaco dell’anziano è un problema di crescente importanza ma ancora spesso negletto sia in campo scientifico che organizzativo-sanitario. L’importanza di quella che Michael Rich ha definito la “sindrome cardiogeriatrica” del XXI Secolo, è tuttavia destinata a crescere ulteriormente nei prossimi decenni a causa del processo di invecchiamento che interessa l’intero pianeta con curve demografiche che dimostrano una crescita esponenziale degli ultraottantenni. Anche l’incidenza dei ricoveri per scompenso degli anziani è in parallelo aumento, fino a superare il 70% dei ricoveri totali per tale patologia, come è stato dimostrato dallo Studio TEMISTOCLE.
Un tipico esempio della complessità dell’anziano come paziente, dell’enorme impatto di queste problematiche sulla sanità pubblica, del grave ritardo organizzativo esistente e dell’interesse mediatico che si attiva solo per eventi “catastrofici”, ci è stato fornito dalla recente ondata (stimata in oltre 4000 casi) di decessi di anziani fragili cardiopatici e non. E’ opinione diffusa che tale fenomeno sarebbe stato precipitato non solo dal caldo torrido, ma anche da irrisolti problemi di isolamento sociale e carenza di assistenza continuativa. Ciò avrebbe ostacolato, negli scompensati anziani (i cui meccanismi di termoregolazione e della sete sono alterati), un effettivo controllo della temperatura ambientale, dell’apporto di liquidi e le necessarie modifiche posologiche di diuretici e ipotensivi. Se si considera che l’Italia è attualmente il paese più longevo del mondo, si può facilmente comprendere come sia in atto una vera e propria “epidemia” a cui è tassativo rispondere con misure adeguate sia sul piano terapeutico che organizzativo. Con tutta probabilità quindi, lo scompenso cardiaco dell’anziano rappresenterà uno dei principali problemi di sanità pubblica dei prossimi decenni.
La caratteristica più peculiare dello scompensato anziano è rappresentata dalla notevole eterogeneità del quadro clinico, in cui convergono gli effetti del processo di invecchiamento cardiovascolare, delle diverse cardiopatie, dell’elevata prevalenza di comorbidità e, non ultimo, dello stile di vita del singolo individuo.
I dati del Registro ANMCO IN-CHF hanno dimostrato come, al crescere dell’età, aumenti la percentuale di pazienti di sesso femminile, in classe NYHA avanzata, con fibrillazione atriale, tachicardia ventricolare e disfunzione renale. Negli anziani prevalgono l’eziologia ischemica e ipertensiva e una eziologia multipla è presente nel 22.8% rispetto al 10,2% dei soggetti più giovani. Una funzione sistolica ventricolare sinistra conservata è presente nel 32% dei casi. Tali differenze età-correlate diventano ancor più rilevanti se si analizzano studi di popolazione e si focalizza l’attenzione sulle fasce di età più avanzata. Negli ottuagenari la percentuale di donne sale fino al 70%, l’eziologia ipertensiva diventa la più frequente, il 50% di soggetti ha funzione sistolica conservata, il 47% fibrillazione atriale e si associano comorbidità multiple (diabete, BPCO, malattia vascolare periferica, disfunzione renale e anemia) e i problemi tipici dell’età avanzata (osteoatropatie, cadute, incontinenza, demenza). La complessità di questi pazienti rappresenta una sfida sia per il cardiologo pratico che per la ricerca.
Il quadro clinico tende a differenziarsi anche in base al differente setting clinico. Gli anziani ricoverati presso strutture cardiologiche tendono ad essere più gravemente scompensati, più frequentemente ricoverati in UTIC e condizioni di urgenza ma meno compromessi da un punto di vista generale rispetto ai pazienti ricoverati in medicina o geriatria.
La prognosi degli anziani con scompenso è significativamente peggiore sia dei soggetti di pari età non affetti, sia degli scompensati di mezza età, con una più elevata mortalità ospedaliera e a distanza. Le riospedalizzazioni sono frequenti e causate in metà dei casi da fattori modificabili e quindi spesso evitabili. Ne deriva un quadro di qualità ed aspettativa di vita scadente, con conseguente aumento del grado di disabilità e di dipendenza a sua volta peggiorato dalla coesistenza di problemi socio-ambientali (isolamento) , deficit cognitivo, depressione.
Su un piano di economia sanitaria questi fenomeni caratterizzano un incremento esponenziale dell’utilizzo di risorse e dei relativi costi, non solo legati all’assistenza cardiologica, ma anche a quelli legati al problema dell’assistenza continuativa a soggetti “fragili”. In questi pazienti sono quindi necessari progressi per migliorare la valutazione funzionale, la gestione a lungo termine e la trasposizione delle conoscenze scientifiche nella pratica clinica, nonchè la modifica di alcuni atteggiamenti culturali.
L’ anziano è un’entità biologica diversa dal giovane e dall’adulto; il suo stato di salute dipende, in eguale misura, da problemi di ordine fisico, psicologico, socio-economico ed ambientale e necessita, quindi, di un intervento preventivo, curativo e riabilitativo specifico. Chi si occupa di assistenza ad una persona di età avanzata dovrebbe ricorrere all’impiego della metodologia specifica della geriatria che si chiama valutazione multidimensionale (comprehensive geriatric assessment). Tale approccio è costituito, oltre che dalla valutazione medica, anche dalla valutazione della qualità della vita e dello stato funzionale (capacità di svolgere autonomamente le attività della vita quotidiana -Activities of Daily Living), psico-cognitivo, socio-economico ed ambientale del soggetto. In letteratura sono frequenti gli studi che suggeriscono che anche questi fattori possano concorrere a determinare il decorso e la prognosi di malattie croniche come lo scompenso cardiaco.
Sul piano terapeutico occorre sottolineare la persistenza di gap tra conoscenze disponibili e implementazione delle stesse nella pratica clinica, a tutti i livelli assistenziali.
A causa della frequente esclusione dei vecchi dai grandi trials clinici, le evidenze disponibili che vengono da questi riprese nelle linee guida condizionano l’applicazione, spesso acritica, delle stesse ad una popolazione con età media di 78 anni in assenza di dati definitivi su efficacia e sicurezza. La stessa definizione di anziano, di per se ambigua, si presta alla creazione di equivoci, basti pensare agli studi su ipertesi “anziani” che hanno arruolato soggetti tra 65 e 80 anni, sottovalutando le enormi differenze biologiche esistenti tra individui di questi due estremi di età.
Il sottoutilizzo di farmaci efficaci, rilevato in numerosi studi osservazionali (tra i quali quelli condotti dall’ANMCO, come il SEOSI, Il registro IN-CHF, l’EARISA, l’OSCUR e il TEMISTOCLE) sembra quindi dipendere, oltre che dalla maggiore fragilità e complessità dell’anziano, anche dalla ridotta disponibilità di studi specifici.
Per questi, e per motivi di carattere organizzativo, le terapie evidence-based, gli esami strumentali e i trattamenti interventistici a più elevato contenuto tecnologico sono generalmente meno utilizzati e la scelta terapeutica sembra essere guidata più dalla facilità di accesso che da evidenze, linee guida e protocolli di trattamento. Un’esempio di efficace risposta su questo piano è stato fornito dall’ANMCO con gli studi BRING-UP1 e 2, che hanno favorito l’implementazione della terapia betabloccante nei soggetti di età più avanzata e i cui risultati positivi sono stati registrati dall’andamento delle prescrizioni nell’IN-CHF (Figura 1). Non sappiamo, tuttavia, quanto il messaggio degli studi BRING-UP sia stato recepito e applicato nell’ambito di specialità diverse dalla Cardiologia. Si va profilando quindi una opportunità che i Cardiologi non dovrebbero lasciarsi sfuggire.
I Cardiologi dovrebbero lavorare a più stretto contatto con Internisti, Geriatri, Medici di Medicina Generale e Infermieri che si occupano di scompenso cardiaco ma, anche mutare atteggiamento nei riguardi dell’anziano (spesso fragile e di difficile gestione), arricchendo il bagaglio professionale e culturale con la conoscenza di metodiche di valutazione e di assistenza continuativa. Le società cardiologiche dovrebbero mettere a punto linee guida specifiche e programmare una rete assistenziale efficace, basata su una organizzazione multidisciplinare e sul coinvolgimento sia dell’Ospedale che del Territorio.
Alcuni anni fa è nata, pertanto, l’idea di uno strumento specifico, la Scheda di Valutazione dell’Anziano con Scompenso (VAS), appositamente progettata per un utilizzo in pazienti afferenti a strutture cardiologiche. Questo strumento di valutazione Multidimensionale includeva un minimum data set di scale già ampiamente validate e di semplice utilizzo, finalizzate alla raccolta di dati sulla situazione socio-ambientale, sul grado di autonomia funzionale nello svolgimento delle attività della vita quotidiana (scale IADL e BADL), sullo stato cognitivo (Short Portable Mental Status Questionnaire o Mini Mental State Examination), sulle comorbidità (Charlson Index) e sulla qualità della vita (Minnesota). Il progetto e la scheda sono stati presentati inizialmente nell’ambito del Corso ANMCO di Formazione sullo Scompenso per Infermieri Professionali che si è tenuto presso il Centro Studi nel 1999. Nel corso della riunione furono raccolte adesioni ad uno studio pilota di fattibilità (studio INCHF-VAS) condotto in collaborazione con il Centro Studi e alcuni centri della rete IN-CHF. I risultati iniziali sono stati incoraggianti e sulla base degli stessi, lo Steering Committee dello studio BRING-UP2 ne ha deciso l’impiego nei pazienti ultrasettantenni arruolati nello studio stesso. Sono stati raccolti dati su 1144 pazienti, dimostrando che tale metodo può essere agevolmente importato e gestito in ambito cardiologico.
Infine, last but not least, un efficace tentativo finalizzato ad arginare la crescita esponenziale del numero di soggetti di età avanzata affetti da scompenso cardiaco non può prescindere da efficaci strategie di prevenzione. La recente classificazione AHA/ACC, che pone l’accento sull’importanza di una corretta gestione dei pazienti di tipo A e B, ha quindi rivalutato l’importanza dell’attuazione di strategie di prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari. La progressione da ipertensione a scompenso cardiaco è un fenomeno ben conosciuto e i trial dedicati all’anziano iperteso hanno dimostrato come un efficace trattamento possa ridurre l’incidenza o almeno rallentare la progressione a scompenso. Simili risultati sono stati conseguiti anche con un efficace trattamento delle dislipidemie e del diabete. Al momento attuale, tuttavia, non disponiamo di adeguate conoscenze e strategie terapeutiche per arginare quella che è l’eziologia dominante: la cardiopatia ischemica. Negli ottuagenari, infatti, mancano ancora prove conclusive sulla sicurezza ed efficacia dei differenti approcci terapeutici dimostratisi validi in soggetti più giovani, nè siamo in possesso di dati specifici sui risultati a lungo termine su un piano di costo-efficacia.
Nel vecchio, infine, si esacerbano i limiti esistenti sul piano organizzativo, con distribuzione geografica “a macchie di leopardo” della disponibilità di accedere tempestivamente, quando necessario, a strutture in grado di applicare un approccio interventistico spesso risolutivo ed efficace. Non vi è ancora certezza, quindi, se la disomogenea disponibilità di cure efficaci, possa, da un lato aumentare il numero di anziani “candidati” a scompenso cardiaco attraverso una riduzione di mortalità in acuto, dall’altro ridurlo attraverso una limitazione dell’estensione del danno miocardico.
Un altro campo di grande valore ma in parte inesplorato riguarda l’educazione, le modificazioni dello stile di vita (fumo, alcool, alimentazione) e i programmi di riabilitazione.
Non è un caso che sia stata recentemente sollevata la discussione sulla necessità di stimolare l’interesse delle Associazioni Cardiologiche nei riguardi delle problematiche dell’età avanzata.
A Cura di: Giovanni Pulignano