La medicina nella storia e nella letteratura
- Giulio Cesare: Una diagnosi differenziale a molta distanza
- Le limonate di Pereira e l’empatia del Dr.Cardoso
- Ganesh: un Cardiologo fuori posto
- La Cattiva Figlia
Giulio Cesare: Una diagnosi differenziale a molta distanza
“Non aveva ancora finito di pronunciare queste parole che tutto il suo corpo ebbe uno spasmo: Cesare si guardò sconvolto, poi cadde dalla sedia e si trovò a giacere con la schiena inarcata, e braccia e gambe tese e rigide. Cleopatra urlò per chiamare aiuto. A quel punto la faccia di Cesare era diventata violacea e le membra erano in preda alle convulsioni, Cleopatra fu gettata a gambe all’aria quando si chinò per trattenerlo. Rapidamente com’era cominciato tutto finì.
Apollodoro, Hapd’efan’e e tre sacerdoti corsero dentro e si trovarono davanti Cesare afflosciato sul pavimento, che respirava a rantoli, il viso grigio per un male gravissimo. Hapd’efan’e gli annusava l’alito e gli tastava il polso.
Portate vino dolce, molto dolce ed un giunco morbido, cavo. Ringhiò il sacerdote medico.
Un sacerdote tornò di corsa dall’ala delle mummificazioni con il giunco che di solito veniva usato per infondere il natron nelle cavità craniali. Una domanda secca rassicurò Hapd’efan’e che quel particolare giunco non era mai stato usato. Lui lo prese vi soffiò dentro per controllare che fosse aperto, aprì la bocca di Cesare vi infilò la cannuccia, gli carezzò la gola e spinse lentamente finchè non ne furono scomparsi sei palmi. Poi fece gocciolare con attenzione il vino dolce nella cavità, infine si sedette sui talloni ed attese. Quando il paziente cominciò a muoversi il sacerdote estrasse il giunco e prese Cesare tra le braccia.
– Cosa è successo? – chiese Cesare quando si fu ripreso.
– Hai avuto attacco epilettico, ma non soffri di epilessia Cesare, poiché il vino dolce ti ha rimesso in sesto così veloce, mi dice che hai sofferto di cambiamento fisiologico, dopo tanti mesi di privazioni. –
– Da quanto tempo non hai mangiato qualcosa? – chiese il sacerdote medico
– Molte ore, il fatto è che quando ho molto da fare mi dimentico di mangiare. – ”
Da “LE IDI DI MARZO” di Colleen McCullough edito da Rizzoli Ott-2003
Sulla presunta epilessia di Cesare molto scrissero i suoi contemporanei ed anche successivamente le ipotesi formulate furono le più diverse..
Certo è, che quella che propone questa brillante autrice australiana, mi convince più delle altre.
All’epoca, e parliamo del 47 a.c., dell’epilessia non si sapeva nulla o quasi e certamente non era disponibile alcuna terapia o rimedio naturale efficace. Il fatto poi, testimoniato da numerosissime fonti, che Cesare avesse mantenuto l’acume mentale fino al suo ultimo giorno, rendono improbabile un disturbo cronico di grande male.
L’ipotesi dell’ipoglicemia è particolarmente suggestiva per diverse ragioni: e’ infatti riportato da numerose fonti, che durante la battaglia di Alessandria, Cesare avesse sofferto di un grave disturbo gastrointestinale, (esattamente come accade alla maggior parte degli occidentali che si recano in Egitto per una vacanza!). Potremmo anche azzardare l’ipotesi di un certo risentimento pancreatico visto il prolungarsi del disturbo, che aggiunto all’arcinota indifferenza di Cesare nei confronti del cibo, creano il cocktail ideale per una seria crisi convulsiva.
A cura di Carla Manzara, Dirigente Cardiologo, Dipartimento Cardiovascolare, Ospedale S.Camillo, Roma.
Le limonate di Pereira e l’empatia del Dr. Cardoso
“Lisbona, Agosto 1938.
Quando arrivò nella Hall vide un signore in camice bianco che guardava il mare dalle finestre. Pereira gli si avvicinò. Era un uomo tra i trentacinque e i quarant’anni, con un pizzetto biondo e gli occhi celesti.
– Buonasera, – disse il medico con un sorriso timido, – sono il Dottor Cardoso, lei è il dottor Pereira, immagino, la stavo aspettando, sarebbe l’ora della passeggiata dei pazienti sulla spiaggia, ma se lei lo preferisce possiamo restare a parlare qui o uscire in giardino – […]
Uscirono in giardino. […]
– In questi giorni lei è affidato a me, – disse il medico, – ho bisogno di parlare con lei e di conoscere le sue abitudini, con me non deve avere segreti.
– Mi chieda tutto, – disse Pereira con disponibilità. Il dottor Cardoso colse un filo d’erba e se lo mise in bocca.
– Cominciamo con le sue abitudini alimentari, – chiese – quali sono?
– La mattina prendo il caffè, – rispose Pereira, – e poi faccio un pranzo e una cena, come tutti, è molto semplice.
– E cosa mangia di solito, – chiese il dottor Cardoso, – voglio dire, che tipo di alimentazione mantiene?
Frittate, avrebbe voluto rispondere Pererira, mangio praticamente solo frittate, perchè la mia portiera mi prepara pane e frittata e perchè al caffè Orquidea servono solo omelettes alle erbe aromatiche. Ma provò vergogna e rispose diversamente.
– Alimentazione variata, – disse, – pesce, carne, verdura, sono abbastanza parco nel cibo e mi nutro in maniera razionale.
– E la sua pinguedine quando ha cominciato a manifestarsi?, – chiese il dottor Cardoso.
– Alcuni anni fa, dopo la morte di mia moglie. – E in quanto a dolci, – chiese il dottor Cardoso, – mangia molti dolci?
– Mai – rispose Pereira, – non mi piacciono, bevo solo limonate.
– Limonate come?, – chiese il dottor Cardoso.
– Spremute naturali di limone, – disse Pererira, – mi piacciono, mi rinfrescano e ho l’impressione che mi facciano bene all’intestino, perchè ho spesso gli intestini in disordine.
– Quante al giorno? -, chiese il dottor Cardoso. Pereira ci pensò un attimo.
– Dipende dai giorni, – rispose, – ora in estate, per esempio, una decina.
– Dieci limonate al giorno! – esclamò il Dr.Cardoso, – dottor Pereira, mi sembra una pazzia, e mi dica, ci mette tanto zucchero?
– Le riempio di zucchero, – disse Pereira, – metà bicchiere di limonata e metà di zucchero.
Il Dr.Cardoso sputò il filo d’erba che teneva in bocca, fece un gesto perentorio con la mano e sentenziò:
– Da oggi è finita con le limonate, le sostituiamo con acqua minerale, meglio se non gassata, ma se preferisce acqua gassata va bene ugualmente.
[…]”
Ganesh: Un Cardiologo fuori posto.
“Da “Notturno Indiano” : Ospedale di Bombay, notte
“Lei ha studiato qui?”, chiesi.
Si fermò a guardarmi, e mi parve che nei suoi occhi passasse un lampo di nostalgia. “Ho studiato a Londra”, disse, “e poi mi sono specializzato a Zurigo”. Tirò fuori il suo astuccio di paglia e prese una sigaretta. “Una specializzazione assurda, per l’India. Sono Cardiologo, ma qui nessuno è malato di cuore, soltanto voi in Europa morite di infarto”.
“Di cosa morite voi qui?”, chiesi io.
“Di tutto ciò che non riguarda il cuore. Sifilide, tubercolosi, lebbra, tifo, setticemia, colera, meningite, pellagra, difterite ed altre cose. Ma a me piaceva studiare il cuore, mi piaceva capire quel muscolo che comanda alla nostra vita, così”. Fece un gesto con la mano aprendo e chiudendo il pugno. “Forse credevo che vi avrei scoperto qualcosa dentro” […]
L’autore, Antonio Tabucchi è nato a Pisa. Ha curato la traduzione italiana dell’opera del poeta portoghese Fernando Pessoa sul quale ha scritto numerosi saggi critici.
Tra i suoi numerosi libri ricordiamo Piazza d’Italia (Milano 1975), Notturno indiano (Palermo 1987) e, naturalmente, Sostiene Pereira (1994), premio Viareggio-Rèpaci e Premio Campiello.
Ha ricevuto nel 1987 in Francia il Premio “Medicis Etranger”.
A cura di Donatella Del Sindaco, Dirigente Cardiologo, IRCCS INRCA, Roma.
La Cattiva Figlia
“Era la fine di agosto quando la dottoressa mi telefonò ad Alassio: mia madre aveva avuto un infarto e l’avevano ricoverata al reparto cardiologico dell’ospedale di Varese. […]
Arrivai al reparto di terapia intensiva alle nove di sera. Prima di farmi entrare mi diedero un camice sterile e un paio di soprascarpe di plastica. Il medico disse che mia madre poteva superare la crisi, si erano visti altri casi, anche di persone così anziane. La trovai meglio di quanto avessi immaginato, mi parve addirittura vivace.
“Che scherzi ci fai? Ti diverti a spaventarci?” Avevo involontariamente adottato il tono scherzosamente benevolo che i medici d’ospedale usano con i vecchi e i bambini, soprattutto se gravemente malati.
“Meno male che abbiamo quella dottoressa così all’ospizio, altrimenti non ci sarei più”. La parola “ospizio” mi colpì come uno schiaffo. Dunque la pensava così, le sue figlie l’avevano messa all’ospizio, un luogo dove finiscono i poveri e chi non ha nessuno. Ero umiliata per me e addolorata per lei. […]
Lea si risentì della gratitudine che la mamma mostrava per la dottoressa mentre tutto cio’ che noi ci sobbarcavamo passava sotto silenzio. Le feci notare che la dottoressa aveva tenerezze di cui noi eravamo incapaci : “Lei la tocca, mentre io freno a stento il gesto di asciugarmi la guancia quando mi bacia. Queste cose si sentono” […]
La cattiva figlia del titolo è l’io narrante di questo romanzo sul difficile rapporto tra una donna alle soglie della maturità e la madre ottantenne. L’obiettivo dell’autrice mette a fuoco conflitti, rancori, nodi irrisolti che si stemperano quando la figlia spinge la madre a raccontarle la propria vita, nel tentativo di avvicinarsi finalmente a lei, di comprenderla e, forse, di rivalutarla.
La narrazione si svolge su diversi piani che si intersecano e si sovrappongono, permettendo al lettore di vedere le due protagoniste da angolazioni differenti e punti di vista contrastanti. E’ la storia di una donna cinquantenne che si trova a dover convivere con la madre, rimasta vedova e ormai alle soglie degli ottant’anni. Indagine sul delicato e difficile rapporto fra madre e figlia e, soprattutto, sulla difficile convivenza fra persone appartenenti a generazioni diverse, La cattiva figlia è un bellissimo romanzo, dove l’autrice affronta esperienze vitali radicali: la malattia, la vecchiaia, la morte.
La convivenza tra le due donne è un periodo cruciale che evidenzia l’inconciliabilità tra il bisogno di vivere liberamente la propria vita e l’obbligo di sostenere un essere sempre più indifeso. Alla fine non vengono suggeriti al lettore rimedi infallibili o facili consolazioni. Le difficoltà persistono, i problemi non si annullano quasi per incanto: il conflitto fra madre e figlia, pur attenuato, dura sino alla morte dell’anziana mamma, forse persino oltre.
La frase : “Tutto questo si fa anche per un bambino, ma un bambino cresce, un vecchio devi aspettare che muoia”
Ed.Frassinelli. 1990
L’Autrice: Carla Cerati, nata a Bergamo il 3 marzo 1927 è fotografa di fama internazionale e scrittrice. Comincia la professione nel 1960 come fotografa di scena, poi si dedica al reportage e al ritratto (Morire di classe, Forma di donna); come narratrice esordisce nel 1973 con Un amore fraterno. Ha pubblicato numerosi romanzi, tradotti in diverse lingue: Un matrimonio perfetto, La perdita di Diego, La condizione sentimentale, La cattiva figlia, L’intruso .
A cura di Giovanni Pulignano, Dirigente Cardiologo, Dipartimento Cardiovascolare, Ospedale S.Camillo, Roma.